Mozambico: a un anno dal passaggio del ciclone Idai, che nel paese ha scatenato una serie di catastrofi ambientali senza paragone, 2,5 milioni di persone, quasi la metà bambini, continuano a dipendere dagli aiuti umanitari. L’UNICEF si prepara ad affrontare situazioni vieppiù frequenti e gravi quale conseguenza della crisi climatica.
A un anno dal passaggio del ciclone Idai, a oltre tremila bambini minori di cinque anni è stata diagnosticata una forma acuta e potenzialmente letale di denutrizione a causa della completa distruzione dei raccolti. Questi bimbi sono la prova che la crisi climatica colpisce in primis i poveri e i giovanissimi.
Benché il Mozambico non sia certo tra i paesi che più contribuiscono al riscaldamento globale, negli ultimi dodici mesi è stato colpito da una gran quantità di emergenze riconducibili ai mutamenti climatici. Il 14 marzo 2019, il ciclone Idai ha devastato Beira e le città vicine nelle province di Sofala e Manica, e inondato intere aree, anche coltivate. Solo sei settimane dopo, è stata la volta del ciclone Kenneth, abbattutosi sulla provincia settentrionale di Cabo Delgado con venti superiori ai 200 chilometri l’ora. Nel frattempo, il sud del paese era in preda a una grave siccità, con ulteriori gravi conseguenze per l’agricoltura e la sicurezza alimentare degli abitanti. Tutti questi eventi hanno esaurito le riserve delle famiglie e distrutto le loro basi esistenziali. Si stima infatti che 1,6 milioni di persone non abbiano abbastanza da mangiare.
L’indice di sviluppo umano (ISU) pone il Mozambico al 180° posto su 189 paesi. Il 46 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia nazionale di povertà, una condizione che impedisce alle famiglie, alle prese ogni anno con le ripercussioni di nuove catastrofi, di ritrovare una parvenza di stabilità.
«L’UNICEF e altre organizzazioni umanitarie si preparano ad affrontare eventi estremi vieppiù frequenti e violenti in Mozambico», spiega Katarina Johansson, responsabile dell’UNICEF nel paese. «La nostra opera di ricostruzione comprende dunque anche elementi che rendono la popolazione più resistente a future catastrofi.»
L’UNICEF sostiene l’erogazione decentralizzata di servizi sanitari da parte di squadre mobili, che con moto e biciclette raggiungono i bambini anche nelle zone più discoste. Con l’aiuto e la formazione dell’UNICEF, sono quasi 1700 le squadre attive. 653 000 minori di cinque anni sono stati visitati e migliaia di giovani vite sono state salvate grazie a cure mediche adeguate e alla somministrazione di cibo terapeutico.
L’UNICEF e i suoi partner sono al fianco anche di bambini con disabilità, ai quali forniscono assistenza psicosociale, distribuiscono mezzi ausiliari e offrono programmi di riabilitazione in seno alla comunità. Mille piccoli hanno già beneficiato di questi interventi, ma resta ancora molto da fare prima che i bambini con disabilità possano dirsi completamente integrati nella protezione in caso di catastrofe.
I cicloni, le inondazioni e la siccità hanno pregiudicato impianti idrici e sanitari, e contribuito alla diffusione di malattie diarroiche come il colera, che colpiscono in particolare l’infanzia. L’UNICEF e i suoi partner sono riusciti ad arginare la propagazione del colera dopo i due cicloni vaccinando oltre un milione di persone e ripristinando rapidamente diversi sistemi di approvvigionamento idrico, tra cui quello di Beira, che serve circa 580 000 abitanti. Il risanamento di 507 punti idrici contaminati, la costruzione di ottanta nuovi punti di rifornimento, gli sforzi volti a un miglior monitoraggio della clorazione dell’acqua potabile, la distribuzione di 648 000 confezioni di prodotti per la purificazione dell’acqua delle economie domestiche e l’installazione di latrine per 185 000 persone proteggeranno la popolazione da future epidemie di colera e di altre malattie derivanti dall’acqua contaminata. L’UNICEF ha inoltre predisposto infrastrutture idriche, sanitarie e igieniche per più di 61 000 persone in trentaquattro insediamenti.
Se dopo il passaggio dei cicloni l’attenzione dell’UNICEF e dei suoi partner era focalizzata sulla possibilità di riprendere l’istruzione di base in locali temporaneamente vuoti, al momento gli interventi sono volti al risanamento degli edifici scolastici. Adottando l’approccio «building back better» (ricostruire meglio), l’UNICEF e i suoi alleati si impegnano per la rimessa in esercizio delle scuole e di altre infrastrutture danneggiate, come i centri sanitari, i quali dovranno essere in grado di resistere meglio a future catastrofi.
In collaborazione con il governo mozambicano e con organizzazioni della società civile, l’UNICEF ha potuto lanciare una vasta campagna di aiuti in caso di catastrofe e salvare così migliaia di bambini. Servono però altri fondi per la ricostruzione e per l’adozione di misure più incisive che consentano ai paesi in sviluppo di combattere le conseguenze dell’inquinamento e di adattarsi ai mutamenti climatici.
Per le redazioni
Il ciclone Idai ha prodotto distruzione e devastazione anche in Malawi e in Zimbabwe. In Malawi, l’UNICEF ha aiutato 731 879 persone, tra cui 219 195 bambini. Il governo del paese ha recentemente approvato la strategia di aiuto nazionale, ragione per la quale l’UNICEF e i suoi partner collaborano ora a livello nazionale e distrettuale per assistere le comunità colpite.
In Zimbabwe, il ciclone Idai ha peggiorato una situazione umanitaria già precaria che colpisce 270 000 persone, tra cui 129 600 bambini. L’UNICEF ha messo a disposizione vaccini, fornito servizi di protezione dell’infanzia, consentito l’accesso all’acqua potabile e all’istruzione di base, e predisposto le cure per persone con HIV/Aids nelle aree colpite della provincia del Manicaland.
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